sabato 7 maggio 2016

Dall'Anci l'iniziativa Giovani RiGenerAzioni Creative

Lo scorso 29 aprile l'Anci ha pubblicato l'avviso pubblico "Giovani RiGenerAzioni Creative" (clicca qui per scaricarlo) per la presentazione di proposte progettuali di sviluppo della creatività giovanile per la rigenerazione urbana. Si tratta di un'iniziativa realizzata in attuazione dell'Accordo, stipulato il 10 settembre 2015, fra il Dipartimento della Gioventù e del Servizio civile nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e l'Anci per l'utilizzo del riparto 2014 del Fondo per le Politiche Giovanili.
L'obiettivo dell'avviso, che mette a disposizione 2.393.680 euro, è quello di selezionare progetti che integrino interventi di stimolo della creatività giovanile all'interno di programmi di rigenerazione urbana già attivi nei Comuni. Le proposte progettuali da presentare in risposta all'avviso dovranno prevedere l'attivazione di servizi, iniziative, interventi e attività innovative rivolte ai giovani creativi e mirati a una riqualificazione e ridefinizione dell'identità e della funzione di edifici o aree pubbliche che hanno visto esaurirsi in tempi recenti la loro originaria destinazione d'uso e funzione economica, sociale e culturale. Fare riferimento alla creatività giovanile quale elemento cardine di una politica locale rivolta ai giovani significa situarsi alla confluenza di numerosi e diversificati processi della società e della contemporaneità: neoartigianato digitale, industrie e professioni creative, relazioni fra percorsi della creatività e mondo scientifico e tecnologico, multimedialità, riqualificazione degli spazi a fini culturali, aggregativi ed economici.

Ambito soggettivo
All'avviso possono partecipare, in qualità di capofila di partenariati composti da associazioni, soggetti privati e altri Comuni, amministrazioni che fanno parte del "Tavolo sulla rigenerazione creativa" dell'Anci, avendo risposto a una specifica manifestazione d'interesse aperta ad agosto e settembre 2015 e successivamente dal 10 al 20 novembre 2015, oltreché quelle beneficiarie del progetto "Giovani, legalità, cittadinanza e partecipazione", realizzato dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale nell'ambito del Pon Sicurezza 2007-2013. Il finanziamento nazionale massimo per ogni progetto è pari a 200.000 per i Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, e a 150.000 euro per quelli con popolazione inferiore. Tutte le proposte devono garantire un cofinanziamento locale, messo a disposizione dal Comune proponente o dai suoi partner, pari ad almeno il 20% del valore totale del progetto.
Le proposte progettuali dovranno avere come beneficiari finali giovani di età compresa fra i 16 e 35 anni e dovranno prevedere percorsi di progettazione partecipata mirati a definire le nuove funzioni e modalità di utilizzo degli spazi. Inoltre, al fine di finanziare progetti in grado di innestare innovazioni sostenibili nel tempo, in fase di proposta progettuale dovrà essere presentato un piano di utilizzo almeno triennale dell'edificio o area pubblica oggetto dell'intervento, congruente e conseguente rispetto alla proposta progettuale presentata.

Le proposte
Le aree d'intervento e relative azioni esemplificative delle proposte progettuali che possono essere ammesse a finanziamento sono:
a) Innovazione culturale: iniziative e servizi innovativi sul piano della produzione, dell'offerta e della fruizione in ambito artistico e culturale; valorizzazione delle forme espressive della contemporaneità; centri di produzione e sperimentazione culturale; progetti che mettano in relazione la ricerca e produzione dei giovani creativi con il mercato artistico e culturale; nuovi modelli per quel che riguarda le residenze e la circuitazione dei giovani creativi; progetti innovativi nell'ambito della formazione artistica; riqualificazione di attrattori culturali locali eccetera;
b) Innovazione sociale: progetti e servizi nell'ambito della social innovation (nuovi modelli di imprenditoria sociale e culturale giovanile); progetti e servizi innovativi nell'ambito della creatività e della didattica finalizzate alla mediazione culturale e all'integrazione sociale e multiculturale;
c) Innovazione economica: sperimentazione di nuove forme di lavoro e imprenditorialità giovanile, in particolare in ambito culturale; modelli innovativi di industrie e professioni culturali e creative in ambito giovanile; progetti e servizi innovativi nell'ambito dell'economia solidale e sostenibile; interventi di riqualificazione territoriale con finalità turistiche; spazi di co-working e fab-lab eccetera.
Il termine per la presentazione delle domande di partecipazione è fissato per le 24,00 del 10 giugno 2016.

(*) Area Innovazione tecnologica, Attività produttive, Cultura e Turismo, Politiche giovanili, Mobilità, Energia, Progetti europei Anci

Il discorso di Papa Francesco sull'Unione Europea

In occasione del conferimento a Papa Francesco del Premio Carlo Magno da parte dei vertici dell'Unione Europea, il pontefice ha indirizzato ai presenti un discorso che riportiamo qui sotto e nel quale vengono richiamati temi e istanze su cui anche il volontariato è impegnato da anni.

Illustri Ospiti,
vi porgo il mio cordiale benvenuto e vi ringrazio per la vostra presenza. Sono grato in particolare ai Signori Marcel Philipp, Jürgen Linden, Martin Schulz, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk per le loro cortesi parole. Desidero ribadire la mia intenzione di offrire il prestigioso Premio, di cui vengo onorato, per l’Europa: non compiamo infatti un gesto celebrativo; cogliamo piuttosto l’occasione per auspicare insieme uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente.
La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa. Nel secolo scorso, essa ha testimoniato all’umanità che un nuovo inizio era possibile: dopo anni di tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi, è sorta, con la grazia di Dio, una novità senza precedenti nella storia. Le ceneri delle macerie non poterono estinguere la speranza e la ricerca dell’altro, che arsero nel cuore dei Padri fondatori del progetto europeo. Essi gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio costruito da Stati che non si sono uniti per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune, rinunciando per sempre a fronteggiarsi. L’Europa, dopo tante divisioni, ritrovò finalmente sé stessa e iniziò a edificare la sua casa.
Questa «famiglia di popoli»[1], lodevolmente diventata nel frattempo più ampia, in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune, talvolta innalzate scostandosi dall’illuminato progetto architettato dai Padri. Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari. Tuttavia, sono convinto che la rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa e che anche «le difficoltà possono diventare promotrici potenti di unità»[2].
Nel Parlamento europeo mi sono permesso di parlare di Europa nonna. Dicevo agli Eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. Un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società; dinamismi capaci di coinvolgere e mettere in movimento tutti gli attori sociali (gruppi e persone) nella ricerca di nuove soluzioni ai problemi attuali, che portino frutto in importanti avvenimenti storici; un’Europa che lungi dal proteggere spazi si renda madre generatrice di processi (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 223).
Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?
Lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, diceva che oggi è capitale realizzare una “trasfusione di memoria”. E’ necessario “fare memoria”, prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri antenati. La memoria non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 108), ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando. La trasfusione della memoria ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre «una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana» (ibid., 224).
A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa. Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni.
Robert Schuman, in quello che molti riconoscono come l’atto di nascita della prima comunità europea, disse: «L’Europa non si farà in un colpo solo, né attraverso una costruzione d’insieme; essa si farà attraverso realizzazioni concrete, creanti anzitutto una solidarietà di fatto»[3]. Proprio ora, in questo nostro mondo dilaniato e ferito, occorre ritornare a quella solidarietà di fatto, alla stessa generosità concreta che seguì il secondo conflitto mondiale, perché – proseguiva Schuman – «la pace mondiale non potrà essere salvaguardata senza sforzi creatori che siano all’altezza dei pericoli che la minacciano»[4]. I progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell’avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri. Sembrano esprimere un accorato invito a non accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato, ma a porre coraggiosamente basi nuove, fortemente radicate;  come affermava Alcide De Gasperi, «tutti egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa», ricominciare, senza paura un «lavoro costruttivo che esige tutti i nostri sforzi di paziente e lunga cooperazione»[5].
Questa trasfusione della memoria ci permette di ispirarci al passato per affrontare con coraggio il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare.
Capacità di integrare
Erich Przywara, nella sua magnifica opera L’idea di Europa, ci sfida a pensare la città come un luogo di convivenza tra varie istanze e livelli. Egli conosceva quella tendenza riduzionistica che abita in ogni tentativo di pensare e sognare il tessuto sociale. La bellezza radicata in molte delle nostre città si deve al fatto che sono riuscite a conservare nel tempo le differenze di epoche, di nazioni, di stili, di visioni. Basta guardare l’inestimabile patrimonio culturale di Roma per confermare ancora una volta che la ricchezza e il valore di un popolo si radica proprio nel saper articolare tutti questi livelli in una sana convivenza. I riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. E lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, l’esclusione provoca viltà, ristrettezza e brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità.
Le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale.
L’attività politica sa di avere tra le mani questo lavoro fondamentale e non rinviabile. Sappiamo che «il tutto è più delle parti, e anche della loro semplice somma», per cui si dovrà sempre lavorare per «allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 235). Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale.
In questo modo la comunità dei popoli europei potrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e di avventurarsi in “colonizzazioni ideologiche”; riscoprirà piuttosto l’ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure. Senza questa capacità di integrazione le parole pronunciate da Konrad Adenauer nel passato risuoneranno oggi come profezia di futuro: «Il futuro dell’Occidente non è tanto minacciato dalla tensione politica, quanto dal pericolo della massificazione, della uniformità del pensiero e del sentimento; in breve, da tutto il sistema di vita, dalla fuga dalla responsabilità, con l’unica preoccupazione per il proprio io»[6].
Capacità di dialogo
Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. E’ urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere «una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro», portando avanti «la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 239). La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione.
Questa cultura del dialogo, che dovrebbe essere inserita in tutti i curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline, aiuterà ad inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando. Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro.
Capacità di generare
Il dialogo e tutto ciò che esso comporta ci ricorda che nessuno può limitarsi ad essere spettatore né mero osservatore. Tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione. La situazione attuale non ammette meri osservatori di lotte altrui. Al contrario, è un forte appello alla responsabilità personale e sociale.
In questo senso i nostri giovani hanno un ruolo preponderante. Essi non sono il futuro dei nostri popoli, sono il presente; sono quelli che già oggi con i loro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spirito europeo. Non possiamo pensare il domani senza offrire loro una reale partecipazione come agenti di cambiamento e di trasformazione. Non possiamo immaginare l’Europa senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno.
Ultimamente ho riflettuto su questo aspetto e mi sono chiesto: come possiamo fare partecipi i nostri giovani di questa costruzione quando li priviamo di lavoro; di lavori degni che permettano loro di svilupparsi per mezzo delle loro mani, della loro intelligenza e delle loro energie? Come pretendiamo di riconoscere ad essi il valore di protagonisti, quando gli indici di disoccupazione e sottoccupazione di milioni di giovani europei sono in aumento? Come evitare di perdere i nostri giovani, che finiscono per andarsene altrove in cerca di ideali e senso di appartenenza perché qui, nella loro terra, non sappiamo offrire loro opportunità e valori?
«La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia. E’ un dovere morale».[7] Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso, abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani.
Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale. Penso ad esempio all’economia sociale di mercato, incoraggiata anche dai miei Predecessori (cfr Giovanni Paolo II, Discorso all’Ambasciatore della R.F. di Germania, 8 novembre 1990). Passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione.
Dobbiamo passare da un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a un’economia sociale che garantisce l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro come ambito in cui le persone e le comunità possano mettere in gioco «molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione. Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che “si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro […] per tutti”[8]» (Enc. Laudato si’, 127).
Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso, se vogliamo un futuro di pace per le nostre società, potremo raggiungerlo solamente puntando sulla vera inclusione: «quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale».[9]Questo passaggio (da un’economia liquida a un’economia sociale) non solo darà nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione, ma ci aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo, di cui l’Europa è stata culla e sorgente.
Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante. Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i grandi evangelizzatori del continente, siano toccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa. In questo, il cammino dei cristiani verso la piena unità è un grande segno dei tempi, ma anche l’esigenza urgente di rispondere all’appello del Signore «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).
Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, «un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia»[10]. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia. Grazie.
(fonte vatican.va)

Memoria e lotta alla mafia, Festa di Primavera a Licata (AG)

Il Centro 3P organizza la Festa di Primavera 2016 alla Villa Comunale Elena di Licata (AG), lunedì 9 maggio 2016 dalle ore 9,30. Al centro dell'iniziativa la percezione della mafia dagli omicidi di Livatino e Puglisi ad oggi. L'ingresso è libero. Nella locandina qui sopra il programma (clicca sull'immagine per ingrandirla)

Nuove modalità per il pagamento del canone Rai per le associazioni

Le associazioni con un televisore nella propria sede come devono procedere con le nuove modalità di pagamento del canone RAI? Qui sotto alcune indicazioni utili anche alle OdV che non hanno apparecchi radiotelevisivi.

Chi è tenuto al pagamento dell’imposta con le nuove modalità (previste nella legge di stabilità, articolo 1, commi da 152 a 159):
- è stato ridotto a 100 euro (non più 113,50) il canone di abbonamento alla televisione per uso privato per l’anno 2016;
- è stata introdotta la presunzione di detenzione dell’apparecchio televisivo nel caso in cui esista un’utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui una persona ha la propria residenza anagrafica;
- è stata previsto, per i titolari di utenza elettrica per uso domestico residenziale, il pagamento del canone mediante addebito nella fattura dell’utenza di energia elettrica. Per tali soggetti, quindi, il pagamento del canone non potrà più avvenire tramite bollettino postale.
Questa novità riguarda esclusivamente i titolari di “utenze domestiche” (“Il contratto per “utenza domestica” è riferito a un cliente che utilizza l’elettricità per alimentare la sua abitazione, di residenza o meno” dal Glossario dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas), cioè coloro che sono intestatari di forniture elettriche abitative domestiche attraverso cui pagheranno, se dovuto, il canone con le nuove modalità (in bolletta) o, nel caso in cui il canone non sia dovuto, inviare una dichiarazione sostitutiva.

Associazioni che detengono presso la propria sede apparecchi radiotelevisivi
Queste associazioni non devono inviare entro il 10 maggio la dichiarazione sostitutiva, perché non soggetti al pagamento in bolletta, devono invece pagare il canone speciale (vedi sotto).

Canone speciale per l’anno 2016
Devono pagare il canone speciale coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell'ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto.
Alla lettera E della tabella che riporta i soggetti tenuti al pagamento del canone speciale (vedi pagina web Abbonamenti RAI) troviamo:
- strutture ricettive (di cui alle lettere A, B, C e D) con un numero di televisori non superiore ad uno;
- circoli; associazioni; sedi di partiti politici; istituti religiosi; studi professionali; botteghe; negozi e assimilati; mense aziendali; scuole, istituti scolastici non esenti dal canone ai sensi della legge 2 dicembre 1951, n 1571, come modificata dalla legge del 28 dicembre 1989, n. 421.
Le tariffe applicate sono le seguenti:
Annuale: 203,70 euro di cui 7,83 euro di Iva;
Semestrale: 103,93 euro di cui 4,00 euro di Iva;
Trimestrale 54,03 euro di cui 2,98 euro di Iva.
Maggiori informazioni al link: http://www.abbonamenti.rai.it/SpeciCali/IlCanoneSpeciali.aspx

Associazioni che non possiedono apparecchi radiotelevisivi
Anche questi enti non devono inviare la dichiarazione sostitutiva perchè non sono soggetti alla nuove modalità di pagamento in quanto non titolari di utenza domestica.

La bocciatura del Consiglio di Stato
E' notizia di settimana scorsa che il Consiglio di Stato ha bloccato il decreto sulle nuove modalità per il pagamento dell’imposta sul possesso degli apparecchi radiotelevisivi. L’ammonizione dell’organo di controllo riguarda in particolare la definizione di apparecchio radiotelevisivo, le modalità di versamento e il problema legato al rispetto della privacy. Quindi, all’indomani del provvedimento, le incognite sulle nuove modalità restano ancora in sospeso in attesa di una chiarificazione.
(fonte ciessevi.org)

Per ogni ulteriore chiarimento puoi contattare l'Area consulenza e assistenza del CeSVoP assistenzaodv@cesvop.org oppure tf. 091331970 int. 251